“Agli arresi”: non mi sono fermata alla dedica di Briciole dai piccioni, libro di Alessandro Turati per Neo Edizioni, ma è indubbiamente questo il primo contatto e la prima cosa che mi ha colpita di questo libro spiazzante, bello come solo una verità vera e senza orpelli sa essere, a tratti caricaturale e assurdo, ma mai banale o fine a se stesso nella sua cruda essenza ed essenzialità.
Briciole dai piccioni è un libro che lascia tracce: parla di vita, la vita del protagonista e dei personaggi che a raggiera vivono attorno a lui, ma sempre mantenendo una forte focalizzazione sull’io narrante, su un essere umano che vive le quattro tappe della sua crescita umana dalla prima all’ultima, senza sconti. Una successione di momenti sui generis, che esula dalla normale routine formativa: infanzia, adolescenza, alcolismo, disoccupazione, dove alcolismo e disoccupazione sono la declinazione precisa dell’età adulta.

“La prima faccenda sono le mani in faccia. È domenica e ho le mani in faccia. Sono seduto su un cuscino e prendo le mani in faccia. Sono pietrificato dalla paura e dalla stanchezza. Poco fa, contro il mio volere, mi hanno lavato e vestito. Sono vicino a una finestra e vedo il cielo e una nuvola bianca sul lago. Il lago non è una cartolina. Il lago è l’unica cosa che vedo. La gente passa e mi mette le mani in faccia. Ho un paio d’anni e penso che questa dev’essere la morte”.
Con un incipit del genere è chiaro sin da subito di essere dinanzi a un personaggio “diverso”, probabilmente un inetto se guardato con uno sguardo superficiale e invece – indubbiamente – il più realistico “prodotto” della odierna società dei consumi, un osservatore disincantato e verace degli esasperati ingranaggi sociali, familiari, lavorativi; ma anche il racconto di una vita che “sceglie” (?) di essere parte di una spirale senza senso, alla ricerca di un significato e del momento a partire dal quale questo non sia stato più possibile, raggiungibile.
La storia di Alessio Valentino – nome paradigmatico nel percorso letterario di Turati, che viene svelato soltanto al termine del libro –, la sua contestualizzazione geografica di appartenenza e la peregrinazione al di là dei confini originari, assurge prototipicamente a modello di tante vite che ci sono attorno, non sempre sotto i riflettori.
“Come ha scritto Neruda, lentamente muore chi non capovolge il tavolo. Si vota per l’ascensore e voto no. Tutti votano no, neanche un sì, e a quanto pare lo zoppo non è rappresentato da nessuno. L’amministratore chiude la riunione e io me ne vado più triste che mai, soprattutto riflettendo sul fatto che questi bastardi si sono riprodotti o sono pronti a farlo. Perché, mi chiedo, sono sempre i più stupidi e i più cialtroni a essere convinti che gli spermatozoi non vedano l’ora di venire al mondo? Siamo già in tanti, datevi una calmata che di mediocrità ce n’è già abbastanza… Sono nato sotto il segno dei pesci ma la mia non è una vita da pesce, è una vita da plancton: sono in sospensione nelle acque, privo di movimento proprio, nutrimento di animali più grandi”.
Tra racconti più o meno ironici, con una cifra umoristica profondamente soggettiva con cui Turati ci accompagna nel percorso umano, formativo, relazionale di Alessio Valentino, assistiamo alla sfilata di tipi umani paradossali e autentici, cercando di imparare a leggere tra le righe delle parole, oltre dipendenze e manie, per andare oltre i propri limiti e comprendere la genesi della grande solitudine che avvolge le nostre vite. Le nostre interconnesse e social mediatiche vite, genesi di una grande solitudine.