È una foto che rispecchia l’assurdità di quel tempo. Una donna, con cinque figli adolescenti, che chiede notizie del marito, il quale secondo le autorità sarebbe fuggito in diligenza. Un fotografo alla ricerca dell’essenza della storia. La porta che ha visto uscire dei militari armati di mitra con una coppia e la loro figlia. Che ha visto passare il dolore e la morte.
La memoria – scrive Gabriel García Márquez – elimina i cattivi ricordi e magnifica quelli buoni. Un artificio aggiunge, che ci permette di superare il passato. Non tutto il passato però, può essere superato. Non tutti i ricordi cattivi possono essere cancellati. La storia insegna che spesso la memoria personale può aiutarci a comprendere la memoria collettiva, e Sono ancora qui, il volume di Marcelo Rubens Paiva edito da La Nuova Frontiera è un esempio di come la storia di una sola famiglia possa rapprensentare la storia di un intero paese: il Brasile.

Il 20 gennaio 1971, Rubens Beyrodt Paiva, ingegnere civile ed ex deputato viene prelevato dalla sua casa di Rio de Janeiro da un gruppo di uomini armati. Gli uomini in questioni sono agenti della dittatura militare brasiliana, una dittatura durata 21 anni, la più duratura tra quelle che hanno afflitto i paesi dell’America Latina.
Sono ancora qui è il racconto di quanto accaduto a Rubens Paiva, e non solo. È il racconto di Marcelo – autore del volume – che all’epoca dell’arresto del padre ha appena undici anni. È il racconto di Eunice, sua madre, che all’improvviso si ritrova sola con cinque figli di cui prendersi cura, e che ben presto realizza di essere la moglie di uno dei tanti desaparecidos arrestati per motivi politici di cui non si saprà più nulla. Una donna che non si lascia piegare dal dolore, ma che decide di riprendere gli studi, diventare avvocato e dedicarsi alla difesa dei diritti civili, alle lotte per la democratizzazione del Paese, ma soprattutto alla ricerca della verità di ciò che è accaduto a suo marito.
21 febbraio 1996. Centro storico di San Paolo. Caldo. Sole. Non era prevista pioggia.
Mi fece indossare uno dei completi che avevo ereditato da lui e che conservo tuttora. Prendemmo la metropolitana e scendemmo a praça da Sé. Ci piaceva spostarci in metro. Andammo a piedi all’ufficio di Stato Civile della 1° circoscrizione – Sé. Gli impiegati erano sorpresi dalla quantità di fotografi e cameraman. Fu un momento sublime. Non sapevano che in quegli uffici soffocanti si stava facendo la storia.
Un cordone di cronisti ci fece rispettosamente passare. Il funzionario sostituto Cibeli da Silva Bortolotto ci consegnò l’attestato, con mani tremanti e un sorriso forzato:Dichiaro che, il 23 febbraio 1996, è stato emesso il certificato di morte di Rubens Beyrodt Pavia. Professione, ingegnere civile. Stato civile, coniugato. Nato a Santos, in questo Stato, il 26 dicembre 1929. Note: certificato di morte redatto ai sensi dell’articolo 3° della Legge 9140 del 4 dicembre 1995.
Mio padre, uno degli uomini più allegri e gioviali che Callado abbia mai conosciuto, moriva per decreto, grazie alla Legge degli Scomparsi, venticinque anni dopo essere morto per tortura
Sono ancora qui però è anche il racconto di una malattia, l’Alzheimer, che a un certo punto dell’esistenza priva Eunice della sua memoria. È il racconto di un lutto che è difficile elaborare senza un corpo su cui piangere. È il racconto di quel momento della vita in cui sono i figli a doversi prendere cura dei genitori, e accettare l’invitabilità dell’andare avanti dopo essersi detti addio.
Da questo romanzo è tratto il film di Walter Salles che in occasione degli Oscar 2025 è stato premiato come miglior film internazionale.
Di Sono ancora qui io ed Elsa abbiamo parlato anche nel quarto episodio del nostro podcast.